2024EVERYTHING TENDS TO ASCEND

EVERYTHING TENDS TO ASCEND

EVERYTHING TENDS TO ASCEND

(PART ONE)
a cura Francesco João
Virginia Ariu, Luisa Brandelli, Francesco João, Gabriel Kuri
Inaugurazione giovedì 20 giugno, ore 18.00
21 giugno – 1 settembre 2024

La sua famiglia probabilmente era di quelle che in qualche momento della storia, e forse tutt’ora, controllava la metà del mercato nero dei diamanti che arrivavano in Olanda dal Sud Africa e dal Congo o nella migliore delle ipotesi storie di corruzione di europarlamentari attraverso fondazioni. Ma lei teneva moltissimo a farci sapere quanto fosse fondamentale riscoprire il lavoro di un tale artista che indietro negli anni (non così indietro – nello stesso periodo Katharina Fritsch faceva Madonnenfigur, 1982) dipingeva come il Gauguin della fase Tahitiana, benché non avesse mai avuto la possibilità di ammirarne l’opera. Dal canto mio, sebbene potessi provare genuina simpatia per l’artista in questione, se le avessi detto che del lavoro me ne fregava un po’ il cazzo, non avrebbe esitato ad accusarmi di eurocentrismo o qualcosa del genere. Eppure a me, di guardare all’opera con interesse esotico, come si guarderebbe a una lampadina a incandescenza inventata in mezzo al deserto mentre il resto dell’umanità è ampiamente passato al LED, pare pura curiosità da Jardin d’Acclimatation.
Suo fratello aveva speso tremila euro per passare una settimana in un ritiro spirituale in mezzo alla Foresta Amazzonica facendosi di ayahuasca. È interessante constatare che mia mamma, indigena amazzonica che in quei posti ci è nata, non abbia neanche mai sentito parlare di ayahuasca, facendo crescere in me il vago sospetto che questa “tradizione millenaria” assomigli più a un modo per spillare denaro a giovani fighetti in crisi spirituale. D’altra parte, anche nella meta successiva del giovane, Ibiza, si consumavano, così come dapprima al Mudd Club di New York degli inizi anni ’80 – palcoscenico del saggio di Dan Graham da cui parte la mostra -, nei rave acid di Manchester del decennio successivo, nei club impasticcati di provincia dei miei anni liceali, quelli di Berlino e così via, riti che a loro modo erano connessi allo spirito.
Circa settecento anni prima, il giovane Scrovegni, preoccupato per la salvezza dell’anima del padre usuraio, commissionava a Giotto il famoso ciclo di affreschi nella cappella di famiglia di cui fanno parte il Giudizio Universale e le Allegorie a monocromo dei Vizi e delle Virtù.
La mostra trova ispirazione nello scritto del celebre artista concettuale americano Dan Graham (1942-2022), “Rock my Religion” (1982-1984). Questo saggio (e video) esplora la connessione tra religione e musica rock, ponendo le basi per indagare il rapporto tra arte e trascendenza, nonché riflettere sui mezzi di elevazione. L’opera di Graham si apre con musicisti punk che si dimenano sul palco al ritmo di una chitarra elettrica in alternanza agli Shakers, membri di un movimento religioso del XVIII e XIX secolo noto per le loro danze ferventi e contorsioni eseguite per purificarsi dal male. Questo contrasto visivo e tematico guida l’intera esposizione, offrendo una riflessione su come differenti culture e periodi storici abbiano investito le arti di una funzione pratica, utilizzandole come strumento per trascendere la realtà materiale.
L’esposizione a settembre ’24 vedrà un momento di simultaneità in due diverse location geografiche: in Europa, a Torino, e in Sud America, a Rio de Janeiro. Questa doppia sede espositiva non solo amplia il pubblico e il contesto culturale, ma sottolinea anche l’universalità dei temi trattati privi di gerarchie in contrapposizione con l’esotismo speculativo che ha contraddistinto gli ultimi anni. La raccolta di opere presentate agisce come una serie di portali che invitano a riflettere sulla trascendenza, il desiderio e l’elevazione.

Virginia Ariu è nata a Torino nel 1992 e attualmente vive e lavora a Zurigo. Ha studiato Pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e Arti Visive all’Écal, Università di Arti e Design di Losanna. Recenti mostre personali si sono svolte alla City Galerie Wien, Vienna, al Lighthaus, con l’artista Vittorio Santoro, a Zurigo, a Come Over Chez Malik’s, Amburgo, ad Almanac Projects, Torino, a Forgo, Berlino, un progetto personale a cura di Roger Van Voorhes a Brooklyn, New York, agli Ateliers Bellevaux, Losanna, ad Alienze, con l’artista Shirin Yousefi, a Losanna, e a No Conformism, Milano. Tra le recenti mostre collettive figurano Robert Walser Zentrum, Berna, Royal Flush Gallery, Oslo, Galerie Kirchgasse, Steckborn, City Galerie Wien, Vienna, Hamlet, Zurigo, Düsseldorf Photo+, Düsseldorf, Stiftung BINZ39, Zurigo, Solutions, Milano, Galleria Acappella, Napoli e Weiss Falk, Basilea. Ha partecipato a residenze presso SOMA, Città del Messico, Sihl Delta, Zurigo e La Becque, La Tour-de-Peilz, Svizzera.

Luisa Brandelli (1990, Porto Alegre, vive e lavora a San Paolo) ha sviluppato i suoi primi lavori nel 2015. Nel 2016 ha partecipato alla sua prima mostra quando è stata selezionata per Abre Alas presso la galleria A Gentil Carioca. Ha preso parte a mostre in gallerie come Bolsa de Arte, Fortes D’Aloia e Gabriel, A Gentil Carioca, tra le altre; e spazi pubblici come Casa de Cultura Mario Quintana, Museu de Arte Contemporânea do Rio Grande do Sul e Centro Municipal de Arte Hélio Oiticica, dove ha tenuto la mostra personale Somewhere very, very wild nel 2022. Nello stesso anno vince la residenza premio presso l’Istituto Inclusartiz, per poi partecipare alla mostra Hora Grande, presso SP-Arte. Nel 2021, si è fatta notare al festival del libro fotografico di Revista Zum con la pubblicazione “Revista Urgência”. Nel 2024 terrà la sua prima mostra personale a San Paolo, presso Espaço Auroras.

Francesco João (nato a Milano nel 1987) vive e lavora tra San Paolo, Brasile, e Milano, Italia. Tra le sue mostre ricordiamo: SSD, Gathering, Londra (2024); Display a sette segmenti, Fondazione Zimei, Roma (2023); Senza titolo, per inciso, Marli Matsumoto, San Paolo (2023); x_minimal, a cura di Friederike Nymphius, Cassina Projects, Milano (2021); 1550 Sanremo Drive, Hot Wheels, Atene (2020); Francesco João, Mendes Wood DM, Bruxelles (2019); BRASILE. Coltello nella carne, PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano (2018); Donkey Man, Mendes Wood DM, San Paolo (2017); A Terceira Mão, a cura di Erika Verzutti, Fortes D’Aloia Gabriel, San Paolo; Tutto tende ad ascendere. Oppure no., Pivô, San Paolo (2016); Summertime ’78, Kunsthalle São Paulo, San Paolo (2015); Nimm’s Mal Easy, Ausstellungsraum Klingental, Basilea (2015); Dizionario di Pittura, Galleria Francesca Minini, Milano (2014).

Gabriel Kuri (Città del Messico, 1970) vive e lavora tra Città del Messico e Bruxelles. Il suo lavoro è stato esposto in mostre personali in istituzioni internazionali e private, tra cui: The Douglas Hyde Gallery, Dublino, Irlanda (2020); WIELS, Bruxelles, Belgio (2019); Oakville Galleries, Centennial Square, Oakville, USA (2018); Alte Fabrik, Rapperswil, Svizzera (2016); Aspen Art Museum, Aspen USA (2015); The Common Guild, Glasgow, Regno Unito (2014); Parc Saint Leger-Centre d’art contemporain, Pougues-les-Eaux, Francia (2013); Bergen Kunsthall, Bergen, Norvegia (2012); Istituto di Arti Contemporanee, Boston, USA (2011); Museion, Bolzano, Italia (2010); MUHKA – Museo d’Arte Moderna di Anversa, Anversa, Belgio (2003); Museo Tamayo, Città del Messico, Messico (2000); Le Magasin – Centre National d’Art Contemporain, Grenoble, Francia (1996). Ha inoltre preso parte a numerose mostre collettive in Istituzioni quali: Museo Amparo, Puebla, México (2019); Kunstmuseum St. Gallen, Gallen, Svizzera (2018); Whitechapel Gallery, Londra, Regno Unito (2017); Musée des Arts Décoratifs, Parigi, Francia (2016); MCA – Museo di Arte Contemporanea Chicago, Chicago, USA (2015); Centro Pompidou, Parigi, Francia (2014); Walker Art Center, Minneapolis, Stati Uniti (2012); Carrè d’Art – Musèe d’Art Contemporain de Nimes, Nîmes, Francia (2011); The Sculpture Center, New York, USA (2009); Il Nuovo Museo, New York, Stati Uniti (2007); MOCA – Museo di Arte Contemporanea Los Angeles, Los Angeles, USA (2006); CCA WattisIstituto per le arti contemporanee, San Francisco

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