in collaborazione con
APLUSB GALLERY (BRESCIA)
THOMAS BRAMBILLA GALLERY (BERGAMO)
GALLERIA INARCO (TORINO)
15.09.2023 – 1.11.2023
DESIDERIO – PRELUDIO è il capitolo introduttivo di un più ampio progetto sul “desiderio come apertura verso l’Altrove, come trascendenza, come invocazione di un’altra possibilità rispetto a quella offerta dalla semplice presenza dell’esistente” (Massimo Recalcati, Ritratti del Desiderio, Raffaello Cortina Editore, 2018).
DESIDERIO, ideato durante la pandemia e sviluppato negli anni seguenti, è un percorso a tappe che racconta una visione curatoriale ancor prima che galleristica: una serie di punti luminosi uniti da reti invisibili che si riconoscono nel segno del sodalizio e dell’obiettivo comune. Société Interludio, tramite la collaborazione con altre realtà, si rende collettore e contenitore del dialogo tra galleristi, opere, artisti e generazioni, confermando la propria identità collaborativa e la propria visione di galleria d’arte contemporanea come luogo di condivisione, ricerca, sperimentazione e cura.
DESIDERIO (dal latino de-sidera: mancanza di – de – stelle – sidera) porta nel proprio etimo la dimensione dell’attesa in una condizione in cui le stelle sono assenti. Da qui l’anelito verso l’Altrove, l’attenta e nostalgica veglia fino al loro riapparire, l’avvertimento di una mancanza che spinge alla ricerca della via, con la promessa che vi sia spazio per l’insondabile e per un orizzonte diverso del mondo.
All’interno di questa dimensione, DESIDERIO – PRELUDIO è un primo tentativo, un avvicinamento. Accade nell’istante che precede la svolta, quando tutto è ancora possibile e gli astri si preparano all’incontro.
Gli astrolabi di Ivan Grilo parrebbero indicare la via, ma la ricerca della rotta si scontra con l’imprecisione a cui lo strumento è soggetto in acque brasiliane, amara rivelazione della relatività all’interno di un sistema costruito su presunte solide certezze. L’impossibilità di orientarsi grazie a parametri che riteniamo fissi e immutabili trasforma uno strumento di salvezza in uno strumento di consapevolezza.
All’interno delle griglie di Erik Saglia i satelliti trovano a stento il proprio posto, faticano a rientrare nei margini, sfidano la geometria, in un movimento e in una tensione continui che confondono e abbagliano. Lo sfaldamento delle forme conosciute e la perdita di riferimenti preludono a una riorganizzazione dello spazio e
della materia: uno sconvolgimento di cui le dodici stelle del dodicesimo capitolo dell’Apocalisse sono uno dei segni.
L’impossibilità di seguire la rotta segnata dalle stelle ci disorienta, ma le opportunità offerte dall’incertezza mutano uno stato di tensione in un’apertura verso un nuovo orizzonte. Chi, in balia della nostalgia, la intravede, può sfondare le pareti e, come Davide Mancini Zanchi, semplicemente stare, sotto la volta celeste, con gli occhi rivolti verso l’alto, alla ricerca della propria costellazione. Facendo della cupola astrale una coperta per la notte, l’artista, armato di cerbottana, si prende gioco di una distanza incolmabile e avvicina la sacralità dell’abisso al proprio corpo che si misura con il perimetro della galleria.
Ormai elemento della stanza, insieme a finestre, porte, lampade, le stelle fanno compagnia ad Agathe Rosa nelle sue notti insonni. Sono stelle in scala umana, raccolte in una piccola e privata enciclopedia di immagini siderali in diapositiva. È durante la fase che precede o segue l’incoscienza, nello spazio insondabile tra celeste e terrestre, che le distanze si fanno via via meno misurabili e gli astri alfine si rivelano.
Il cielo e i suoi elementi di fuoco si specchiano anche, si riflettono letteralmente nelle coppelle scavate nella roccia riattivate e fotografate da Marco Schiavone. Entrambe, l’astro e la pietra, sono materie dalla valenza trascendente, nella loro apparente immutabilità. Tramite l’originaria incisione e la riproposizione odierna di un gesto sconosciuto, l’uomo prima e l’artista oggi ribadiscono il legame tra terra e cosmo.
La ricerca della rotta è quasi al termine e pare ricondurre a noi. È l’artista, nel suo procedere al buio, a indicarci la via: nel disegno di Claudio Parmiggiani una sagoma vestita di luce – forse un viaggiatore dello spazio – emerge dalla propria incoscienza; nel collage di Giulio Paolini Endimione, durante il suo sonno eterno, sembra poter contenere nelle membra l’intero cosmo.
Ivan Grilo, 1986. Vive e lavora a Itatiba/SP, Brasile. Laureato in Arti Visive presso la PUC-Campinas (2007).
Lo spostamento è una parte essenziale del processo artistico di Ivan Grilo. Molte delle sue opere sono il risultato di esperienze nel campo, dove ha raccolto storie raccontate da immagini, documenti e testimonianze orali. “Questi materiali si trasformano in opere che illuminano e mettono in prospettiva una serie di episodi a lungo dimenticati o trascurati dalla storia e dalla memoria. Le sue opere utilizzano una varietà di media e tendono a essere composte da più di un elemento: lastre di metallo con testi scritti, sculture, piccoli oggetti e fotografie.
Le principali mostre personali includono: Pequeno Palácio (Museu da República, Rio de Janeiro, 2023), Amanhã, logo à primeira luz (Casa Triângulo, São Paulo, 2019 ), Escribe una carta de amor (Mana Contemporary + “e55project, Miami, 2018), Quando cai o céu (Centro Cultural São Paulo, 2014), Ninguém (Paço das Artes, USP, São Paulo, 2011).
Tra le sue mostre collettive ricordiamo: Lationamérica en las colecciones CA2M y Fundación ARCO, a cura di Manuel Segade presso la Sala Alcalá 31, Madrid, En Construcción, presso MUNTREF – Museo de Artes Visuales, Buenos Aires, Argentina, Il coltello nella carne, a cura di Jacopo Crivelli Visconti e Diego Sileo presso il PAC – Padiglione d’arte contemporanea di Milano, 2018, Avenida Paulista, a cura di Adriano Pedrosa e Tomás Toledo, al MASP – Museu de Arte de São Paulo, 2017, A cor do Brasil, a cura di de Paulo Herkenho# e Marcelo Campos al Museu de Arte do Rio, 2016 e Tempos Difíceis, a cura di Pablo León de la Barra alla Casa França-Brasil, 2015.
Grilo ha ricevuto i premi Prêmio Funarte Marc Ferrez de Fotogra!a 2012, Prêmio illy sustainArt – SP/arte 2015, FOCO ArtRio 2016 e Fundação Marcos Amaro Award SP/arte 2017, oltre alle nomination nel 2012, 2014 e 2017 per il premio PIPA – Prêmio Investidor Pro!ssional de Arte e !nalista nel 2018 per l’XI Premio illy en ARCOmadrid.
Collezioni pubbliche: Solomon R. Guggenheim Museum, MoMa – Museum of Modern Art, Pérez Art Museum, Fundación ARCO – Centro de Arte Dos de Mayo de la Comunidad de Madrid, “e Metropolitan Museum of Art, Museo Reina So! a – Madrid, Fundação Calouste Gulbenkian – Lisbona, MASP – Museu de Arte de São Paulo, Itaú Cultural, MAM – Museu de Arte Moderna de São Paulo, MAR – Museu de Arte do Rio e Museo de la Universidad de Tres de Febrero.
Davide Mancini Zanchi (Urbino, 1986) vive e lavora ad Acqualagna (PU), un paesino tra il mare Adriatico e le montagne degli Appennini. Dopo aver frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Urbino, nel 2014 è ospite in residenza alla DENA Foundation for Contemporary art, nella sede di Parigi. Il suo lavoro è stato esposto in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero. Tra le mostre personali si ricordano: “No diamonds in the sky” (Fondazione Pastificio Cerere);“Mira il mare mà lè” (Fondazione Pescheria); “Toys are us” (A+B gallery, Brescia, 2019); “Da che mani vidi Zan Cin” (Otto Gallery, Bologna, 2019); “La Conquista dello Spazio” a cura di Riccardo Tonti (Galleria Nazionale delle Marche, Urbino, 2016); tra le collettive più recenti: “Meccaniche della meraviglia” (Chiesa di San Giacomo al Mella, Brescia, 2019); “Vie di fuga” (Societé Interludio, Torino, 2018); “Chi utopia mangia le mele” a cura di Gabriele Tosi e Arianna Polveroni (Ex dogana merci, Verona, 2018). Nel corso degli anni, la sua ricerca è stata riconosciuta attraverso numerose premiazioni: Premio Centro Arti Visive Pescheria (2011), Premio Lissone (2014) e Premio Treviglio (2016); è stato inoltre finalista del Talent Prize (2019) e del Club Gamec Prize (2018). Inoltre, nel 2020 ha vinto l’Italian Council con un progetto di residenza in Uruguay. Recentemente è uscito “MONOCHROMO”, edito da Cura.Books dove viere riportato il suo percorso artistico. Davide Mancini Zanchi è rappresentato da AplusB Gallery, Brescia, IT.
Agathe ROSA (Annecy, 1987) vive e lavora a Marseille, FR
L’attenzione di Agathe Rosa si focalizza sull’interazione della luce naturale con l’uomo e il territorio. Esplorando le capacità di questa «materia luminosa», utilizza i processi cognitivi (percezione, sensazione, memoria, rappresentazione) e mette in discussione la nostra concezione di solidità delle cose. Il processo creativo di Agathe Rosa è generalmente avviato da un atto fotografico intuitivo e fondamentale dal quale il lavoro si sviluppa dall’installazione immersiva site-specific al disegno, passando per l’assemblaggio di oggetti, il video o la scrittura.
Il suo lavoro è stato presentato in Francia e all’estero in numerose istituzioni come il “Centro Culturale Italiano” per la Biennale Manifesta13 (Marseille, Fr), il “CNES Chartreuse” (Villeneuve lez Avignon, Fr), il “Museo Helio Oiticia” (Rio de Janeiro, Br), il “Centre Pompidou” (Paris, Fr) o la “Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Raffaele de Grada” (San Gimignano, It).
Il suo lavoro è ricco di collaborazioni tra cui «Prisme» con Emma Grosbois selezionata per la Biennale d’Arte Manifesta 13 (Marseille, FR), «Spazio /nstabile» un progetto curatoriale sviluppato con il suo collettivo italiano «Fare Mente Locale» e selezionato in vari festival di Arte e Architettura in Toscana.
Nato nel 1989, Erik Saglia vive e lavora a Torino. Saglia intreccia ripetutamente gli stessi materiali – legno, vernice spray, nastro adesivo di carta, sfregamenti con cera o pastelli a olio e resina epossidica – creando opere che intrigano lo sguardo. Attraverso queste giustapposizioni e coesistenze di materiali, i suoi dipinti e le sue installazioni site-specific esplorano il linguaggio dell’astrazione geometrica e l’organizzazione/percezione dello spazio sociale nell’era digitale. Nel corso degli anni Saglia ha sviluppato una tecnica unica per la produzione delle sue opere. Questo processo formale ha creato una sorta di rituale che ha favorito la creazione di un codice visivo molto particolare, rendendo il corpo di opere di Saglia altamente riconoscibile. Approfondendo concetti come cosmogonia, pre-genesi, scenari apocalittici e viaggi interstellari, tra gli altri, e creando sempre un dialogo con la natura contenitiva dello spazio espositivo, Saglia continua la sua ricerca sull’essenza mutevole della griglia. Questo intreccio sistematico di processi impedisce di decodificare l’astrazione geometrica di Saglia con mezzi biografici o implementando l’attuale immaginario digitale. La presenza è la chiave per la piena fruizione dell’opera.
Marco Schiavone (Torino 1990), cresciuto nella bassa Val di Susa. Ha studiato grafica presso l’Accademia di belle Arti di Cuneo. La sua ricerca artistica si sviluppa orizzontalmente dove la tematica del paesaggio e del valore dell’immagine è il focus principale, e si modifica prendendo diverse forme. La formalizzazione delle sue opere è quasi sempre una fotografia che viene prodotta da alcuni passaggi intermedi con l’utilizzo dell’istallazione, scultura e disegno. Nel 2022 ottiene il patrocinio di ricerca dalla Soprintendenza ai Beni Culturali per il progetto sul fenomeno della coppellazione con il contributo di ricercatori scientifici e operatori culturali; nel 2020-21 selezionato dal Museo Camera come artista emergente per Futures Photography; nel 2019 finalista del premio FFF Fondazione Francesco Fabbri; nel 2015 è stato uno dei fondatori di Spaziobuonasera, artist-run space a Torino, che ha indagato il panorama dell’arte contemporanea nazionale ed internazionale. Le sue opere sono state esposte in mostre nazionali ed internazionali come: Photo Open Up, Museo Eremitani, Padova; Audi Studio by Nevven Gallery, Stockholm; Villa Vertua Masolo, Milano; Spaziosiena, Siena; LOFT, Lecce; Las Palmas, Lisbon; Arte Fiera, Bologna; Galleria Giuseppe Pero, Milano; BASIS, Frankfurt; Spaziobuonasera, Torino.