A volte è sufficiente osservare le cose, gli oggetti, leggere frasi e parole perché queste risultino chiare. Molto spesso però questo non è abbastanza, bisogna andare oltre e approfondire: porsi delle domande, rimanere in osservazione, accogliere il cambiamento e l’incognito e farlo proprio. All’interno deglispazi di Société Interludio, è possibile approfondire il dialogo innescato tra Marco Schiavone (Torino, 1990) e Simone Cametti (Roma,1982): con estrema razionalità e meticolosa ricerca, affrontano temi complessi come quello legato alla percezione, alla riproducibilità, al binomio assenza-presenza e alla traduzione grafica e visiva del gesto e della luce creando delle pause visive, manomettendo gli ambienti e le superfici con interventi grafici e luminosi.
Senza andare ad elencare tutta una serie di media applicabili alle diverse possibili analisi, partendo da un foglio di carta millimetrata e grafite, Schiavone traduce quello che è il fenomeno quotidiano a cui tuttisottostanno e che tutti associano all’alternarsi tra il giorno e la notte. Andando a fondo, il Ciclo del sole che tramonta per poi risorgere per poiritramontare è un’immagine potente e ricca disignificati che affonda le sue radici in numerose culture e tradizioni: tradotta in un rappresentazione in sequenza, questa porzione lucente che muta durante il giorno la sua forma e la sua posizione all’interno del contesto porta con sé numerose traduzioni sia religiose che filosofiche, guardando anche semplicemente al concetto di vita e morte che tutti gli esseri viventi attraversano per la quale l’uomo è costretto a vivere entro i limititemporali della sua esistenza. All’interno di questa serie di disegni,segni di matita delineano il corpo celeste creando attorno ad esso naturali chiaroscuro dettati dal lascito grafico di questo strumento: la percezione di questi layers visivi, non perfettamente delimitati, prende nuova forma all’interno di ulteriorisupporti. Lastre di acciaio riprendono le texture attraverso l’uso della smerigliatrice: andando a ripresentare l’effetto del chiaroscuro, l’immagine prodotta emana luce propria grazie all’effetto della levigazione. La percezione viene quindi distorta raggiungendo il punto di interesse: a seconda del punto di osservazione l’immagine varia, modifica sé stessa in proporzione a quanto muta il punto di vista e l’angolazione.
Fotograficamente – tra i medium prediletti dall’artista – la realizzazione di questo lavoro, permette di portare avanti un’ampia ricerca sul ruolo della luce all’interno della percezione visiva e della percezione dell’immagine viste le sfide tecniche significative.
Rimanendo sull’analisi dei copri celesti, Cametti presenta in mostra, attraverso il lavoro Redhsift e le due fotografie, un’attenta ricerca rispetto quello che in fisica e astronomia viene definito red-shift, un fenomeno che si riferisce al cambiamento verso il rosso della luce proveniente da oggetti astronomici, come stelle, galassie o quasar quando queste sono inmovimento. Questo effetto è causato dall’allontanamento delle sorgenti luminose dalla Terra e viene spesso utilizzato per studiare la velocità e la distanza degli oggetti nel cosmo andando a definire la nostra posizione nell’universo. In montagna, dove la notte tutto è ancora più buio, un razzo si intromette nel cielo, illuminandolo e andando a contrastare le nuvole in movimento. La luce rossa si propaga creando spazi nuovi all’interno dell’oscurità, rendendo visibile ciò che era nascosto e identificandolo
geograficamente: quando dal buio sorge un punto luce, automaticamente si diventa presenti, identificabili e riconoscibili entro una specifica posizione.
Contemporaneamente alla riproduzione fotografica e video infatti, in entrambe le ricerche vi è una ricca indagine che verte verso la gestualità, e quindi ilsegno che deriva da un determinato movimento, che sia esso di altri corpi o prodotto in maniera artigianale.
Spezzare il Fiato riprende un esercizio già consolidato: Marco Schiavone concepisce all’interno del contesto espositivo un intervento artistico – in questo caso un wall painting – che solitamente viene successivamente disassemblato, annullandone ogni traccia materiale. Quando l’oggetto cessa di esistere nella sua forma materiale, l’implicazione artistica assume una profondità e una complessità che vanno oltre la mera visualità. Per questa occasione precisa ilsoggetto fotografico rimane, diventando da soggetto a parte dell’ambiente che
accoglie e sostiene il lavoro. Questa circostanza provoca un’interessante dialettica concettuale, dove lo spazio
rappresentato nella fotografia e ilsoggetto in sé entrano in un dialogo metafisico,sfidando le convenzioni tradizionali di percezione e rappresentazione, di decostruzione dell’immagine e interpretazione dello spazio circostante.
Esattamente in questa direzione si inserisce la serie delle incisioni a punta secca: lastre di zinco trattate con la morsura dell’acido nitrico, che riportano estratti della vita personale dell’artista, frasi emblematiche che diventano a loro volta titoli di opere. Questi titoli, raccolti in una serie di appunti, vengono finalmente tradotti e formalizzati attraverso questi pannelli. Le parole trascritte permettono delle letture trasversali poiché l’evocazione di immagini che ciascuna trascrizione porta con sé, è differente per ciascun lettore. Ad ognisguardo corrisponde una traduzione visiva differente: “la parola che produce immagine, per ognuno singolare ma che rappresenta certamente altro”.
Anche l’immagine, così come la parola, può avere contemporaneamente diverse rese di sé stessa. Nella serie di marmi e in 2.c52mt l’elemento della pietra come soggetto permette di portare avanti parallelamente diverse conversazioni frutto diriflessionisimili: l’installazione dimarmo di Lesa e vernice poliuretanica di Cametti- a terra
e a parete – addiziona alla “semplice” presenza fisica dell’oggetto, una riflessione sull’emanazione di luce propria,
insita nel colore. Una stecca di marmo appoggiata e lastre a sospese di un classico rosso e rosso fluorescente evidenziano e sottolineano la naturale bellezza di questo materiale naturale, accentuandone le venature spesso sottolineate anche dall’intervento a grafite dell’artista. Attraverso il colore diventano evidenti, sistagliando all’interno dello spazio creando auree di colore e luce autosostenuta proprio come quella delle quattro colonne di luce esagonale distribuite per la sala. Spente da tempo e restaurate, questi pilastri luminosi riprendo una riflessione riguardo la propagazione della luce all’interno dello spazio, sfruttando il meccanismo attraverso nel 1800 è nata la fisica quantistica: specchi all’interno delle strutture permettono di trasportare la luce su di essi creando un ribaltamento dell’immagine. Una rifrazione che, nel XIX secolo, aveva alla scoperta del laser come conseguenza di questo fenomeno.
Sul piedistallo grigio, Schiavone presenta una piccola installazione composta da pietra e vetro specchiante che cattura l’immagine dell’oggetto sopra di lui posizionato creando un’espansione dello spazio in continuo mutamento. La capacità del vetro di riflettere l’ambiente circostante introduce un elemento di imprevedibilità e transitorietà dove, a seconda delle condizioni di luce, dell’angolo di osservazione e degli oggetti presenti, l’immagine riflessa muta, creando un’immagine in continua evoluzione e trasformazione. Ogni osservatore compone un’immagine differente a seconda del proprio punto di vista, introducendo all’interno della composizione elementi visivi non necessariamente presenti nello sguardo altro.
ALTROVE, in collaborazione con Francesca Antonini (Roma), riflette sull’ampliamento dell’ambiente, sulla sua dimensione, sulla sua propagazione in diretta relazione con i fenomeni luminosi e di percezione. Lo spazio non è solo un concetto fisico o geometrico, va oltre la mera dimensione visiva. La luce ha un ruolo cruciale nella nostra percezione di quest’ultimo: la sua diffusione determina come vediamo il mondo intorno a noi e come percepiamo gli oggetti e gli ambienti.