Per la sua prima mostra personale da Société Interludio, Agathe Rosa istituisce un ambiente di esperienza, un luogo da attraversare. Il tempo e lo spazio creati dall’artista nel percorso di mostra non sono lineari: passato, presente e futuro convivono, così come il qui e l’altrove, in un movimento a spirale.
Araguar è un atto di condivisione da parte di Agathe, che dichiara l’inevitabilità dell’integrazione tra la propria vita e la propria produzione artistica. In questo senso ogni tappa del percorso è un dono dell’artista al visitatore e ogni passaggio restituisce l’indissolubilità tra le due sfere. A partire da un vissuto intimo, la mostra si irradia nello spazio come un racconto stratificato che invita ad una attenta lettura.
L’esperienza – che dalla contemplazione si alimenta – è uno degli aspetti fondamentali nella pratica di Agathe, insieme alla percezione della luce, dell’aria e delle strutture invisibili che costituiscono la realtà che ci circonda e che, tramite le sue opere, si rivelano, facendosi materia. Installazioni, video, sculture e fotografie sono strumenti utili a creare – con le parole dell’artista – “situazioni che invitano a un altro ritmo e a un’altra frequenza”, “in cui l’osservatore può diventare un partecipante attivo e in cui ogni incontro permette di modificare il nostro rapporto con il mondo”.
Oltre il velo che segna l’inizio del percorso, si mostrano le opere, realizzate da Agathe negli ultimi cinque anni. La parola Araguar – apparsa all’artista durante un sogno – introduce alla dimensione onirica che permea l’esposizione e segna l’inizio di un percorso che oltre questo diaframma si compie. In mostra il discrimine tra contenitore e contenuto sfuma: non si scorgono più le pareti della galleria, si entra in un ambiente di luce e di raccoglimento. Il viaggio compiuto dall’artista in questi anni si fa viaggio per il visitatore.
Varcata la soglia, sulle pareti si distribuiscono i disegni, la matrice da cui la tridimensionalità della mostra prende corpo: così sulla carta si trovano le piume, le creature, le forme, i colori che si incontrano nelle sculture, i codici che attraversano le opere.
Realizzati a inchiostro, acquerello e matita, i disegni sono animati da un universo di figure umane e creature non umane, strutture geometriche e architettoniche, direzioni e flussi, ambienti e atmosfere, stati di coscienza. Trascrizione fedele di sogni, visioni ed esperienze vissute dall’artista, sono il rispecchiamento di scene in cui nessun segno è casuale.
I disegni di grande formato accolgono una molteplicità di immagini in minuzioso equilibrio compositivo: la loro complessità richiede all’occhio dell’osservatore un cammino approfondito. Accompagnandole con brevi testi – indicazioni o descrizioni –, l’artista dispone le immagini senza suggerire una sequenza. In questa mancanza di gerarchia, diversi momenti condividono un medesimo piano e più versi di lettura. I disegni di piccolo formato sono invece fulminei, immediati: ospitando ognuno un singolo elemento, la lettura è possibile in una sola direzione e ha le caratteristiche del pensiero intuitivo.
Sviluppati a partire dalla serie Carnet, iniziata da Agathe nel 2016, i disegni in mostra conquistano il foglio bianco con tratto delicato ma deciso. Li connotano presenze palpitanti, dense al di là della loro apparente esilità. L’inevitabile coesistenza di luce e ombra, leggerezza e profondità, armonia e caos, è affrontata dall’artista con grazia ed equilibrio. Ogni disegno è insieme passaggio puntuale della storia che si svolge sulle pareti e tappa di un procedere che si estende oltre i confini della galleria: lo spazio-tempo della mostra proietta lo spettatore in luoghi altri, spalancando porte su infinite possibilità di percorsi, che siano essi evocativi, conosciuti o indecifrabili.
Le sculture in mostra sono la materializzazione e l’amplificazione dei disegni sulle pareti.
Les 7 Vents è costituita da sette bastoni, realizzati dall’artista in legno con una specifica sequenza di colori1. Ognuno dei bastoni, maneggiabile secondo indicazioni prestabilite, rappresenta una direzione, secondo una delle tradizioni spirituali nativo-americane: Ovest, Nord, Est, Sud, Cielo, Terra, Centro. In cima a ciascun bastone, una piuma di uccello portatrice della qualità dell’aria che soffia nelle diverse direzioni. I sette bastoni, o snodi, o ancora – allargando a ulteriori livelli di significato – le sette fasi di un percorso iniziatico, si dichiarano quali elementi dotati di un’energia intrinseca.
Le Serpent d’eau e Le Jaguar sono realizzate con materiali di uso comune e, nell’evocare due creature della mitologia nativo-americana, portano l’attenzione su ciò che vive attorno a noi: il non-umano, nella cultura occidentale spesso relegato ai margini. Sono maschere da indossare, accompagnandole con una sequenza di gesti precisi. Si inseriscono in un filone inaugurato dall’artista nel 2020 con Être ciel,
mantello che traspone su tessuto lo spazio sopra di noi e che, una volta indossato, permette di identificarsi con il cielo. Le maschere consentono a chi le indossa di farsi rappresentazione in movimento e incarnazione delle qualità attribuite alle creature di cui si assumono le sembianze.
Murmure: il recipiente in ceramica di un intenso blu è colmo di acqua raccolta dall’artista secondo le fasi del ciclo lunare. La superficie smaltata conserva le tracce della cottura: le screpolature e le fessure, simili a lacrime, rimandano all’alternarsi di vulnerabilità e resistenza, tanto della materia quanto dell’anima. Lo sguardo dello spettatore si inoltra nei riflessi cangianti e l’opera così si attiva, facendosi specchio e luogo di dialogo interiore. Fonte limpida, guaritrice e purificatrice, il bacino è luna, specchio, cerchio: la circolarità di tutta la mostra qui convoglia.
I bastoni, le maschere e la vasca sono unità rituali, rilevanti per la loro sola presenza e allo stesso tempo dotati di forza agente. Sono varchi che conducono a una dimensione esperienziale, travalicando la semplice contemplazione e innescando l’atto percettivo a partire dalla narrazione predisposta dall’artista.
Agathe Rosa con Araguar traccia un alfabeto costituito da segni e simboli archetipici che, a partire da un piano bidimensionale, prendono corpo. È l’alfabeto di un linguaggio universale, visionario ma accessibile, che si fa strumento di conoscenza e di trasformazione individuale e collettiva. L’osservatore – qui ospite di una dimensione tra viaggio e sogno, esploratore del confine tra visibile e invisibile – è invitato dall’artista a ripensare la propria percezione, a riattivare l’immaginazione e a rintracciare la bellezza della realtà nelle sue manifestazioni più impalpabili e nelle sue strutture più impercettibili.
*Agathe Rosa* (Annecy, 1987) esplora la relazione tra luce naturale, esseri viventi e territori.
Interrogandosi sulle potenzialità della “materia luminosa”, attinge ai processi cognitivi – percezione, sensazione, memoria, rappresentazione – per mettere in discussione la nostra esperienza dello spazio e del tempo.
Attraverso fotografia, disegno, scultura, installazione, suono, video o tessuti, crea sistemi poetici in cui la materia si fa movimento e la luce rivela l’architettura fragile e sottile della realtà.
Le sue opere rendono visibili le forze invisibili che plasmano il nostro mondo: aria, luce, silenzio, movimento. Il tempo rallenta, lo spazio si espande, e l’infinito emerge dall’ordinario. La sua pratica invita a un’esperienza contemplativa e sensoriale, in risonanza con le attuali questioni ecologiche e filosofiche.
Dopo essersi laureata con lode alla Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Marsiglia nel 2011, ha abbandonato l’edilizia per trasformare il cemento in effimero.
Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale in istituzioni come l’Istituto Italiano di Cultura (Manifesta 13 – Marsiglia), il CNES–La Chartreuse (Avignone), il Museo Helio Oiticica (Rio de Janeiro), il Centre Pompidou (Parigi), il Museo Santa Maria della Scala (Siena) e la Galleria d’arte contemporanea Raffaele De Grada (San Gimignano).
Per dieci anni ha anche insegnato Tecniche di Rappresentazione e Arti visive all’ENSA di Marsiglia, partecipando a numerosi seminari tra arte e architettura.