with a critical text by Samuele Piazza
27.10.2022 – 31.12.2022
Let placelessness be the place.
A journey, too, relies upon a frame.
In the spatial sense, the grid states the autonomy of the realm of art.
Flattened, geometricized, ordered, it is antinatural, antimimetic, antireal.
It is what art looks like when it turns its back on nature.
In the flatness that results from its coordinates, the grid is the means of crowding out the dimensions of the real and replacing them with the lateral spread of a single surface.
In the overall regularity of its organization, it is the result not of imitation, but of aesthetic decree.
Rosalind Krauss, Grids, OCTOBER, 1979
In un celeberrimo saggio Rosalind Krauss pone al centro della sua riflessione sul modernismo pittorico la griglia. Questo elemento è considerato costitutivo di una nuova sensibilità che riporta, nella lettura della critica, la superficie pittorica ad un nuovo grado zero: liberata da vincoli mimetici e dal confronto con la molteplicità del reale, la pittura diventa metalinguaggio organizzato in un ordine dettato dal purovisibilismo.
In una ideologia che vuole i pittori modernisti impegnati in una continua spoliazione della rappresentazione, la griglia è emblema della massima astrazione; uno spazio in cui non è ammesso l’accidente. La narrazione viene annichilita a favore della inaccessibilità della purezza estetica.
La parola è confinata al silenzio.
Il lavoro che accoglie il visitatore in mostra si pone al tempo stesso in continuità e in contrasto con questa storia del modernismo che vede nella griglia un principio organizzatore: il polittico che occupa una delle pareti della galleria denuncia uno sguardo formato sulla pittura minimalista americana e sulla pittura concreta, ma al tempo stesso mette in discussione in modo ironico l’autoreferenziale oggettività di questi movimenti.
Le singole “pennellate” rosa che formano le superfici dei quasi monocromi sono sostituite da veline di una tonalità particolarmente cara alla palette cromatica dell’artista e che si trovano in alcune confezioni di cartine di sigarette come avvertimento che il contenuto sta per finire.
Collezionato per anni, questo materiale pittorico umile viene certosinamente riadattato per creare una superficie pittorica.
La griglia che ne risulta si incarna in una narrazione all’apparenza astratta ma, l’utilizzo di oggetti carichi di un portato relazionale, legati ad una durata temporale, ad un vissuto, forse a determinati istanti, e sicuramente ad una relazione con il corpo, con la dipendenza, sfumano i confini di questa griglia, caricandola di un portato narrativo in cui alle variazioni di sfumature corrispondono tempi e registri diversi, da interpretare in relazione dinamica, in sequenze, come in una narrazione filmica.
L’assolutezza della griglia modernista si dinamizza per diventare altro: in un superamento dell’idea Kraussiana di astrazione, i lavori in mostra sono tesi verso quella che Travis Jeppeness chiamerebbe “queer abstraction”: una riscrittura, a language of the body where the body is not (re)present(ed).
When we speak of things queer, be they human or art objects or whatever, let’s speak of all those things whose inherent being is contingent upon a resistance to codification—whether that code be legal, signifying, or otherwise.
Travis Jeppesen, Queer Abstraction (Or How to Be a Pervert with No Body). Some Notes Toward a Probability, Mousse Magazine, 2019
Le griglie da sempre sono usate per dare ordine, per costituire modelli universali, assoluti.
Oltre ad essere una costante della pittura modernista, esse sono anche un elemento fondamentale della cartografia: il reticolo di linee, tracciati e meridiani che identificano in maniera univoca i luoghi, cercando di imporre una dimensione misurabile e oggettiva al paesaggio.
La ricerca di Sebastiano Impellizzeri è costellata di mappe che sembrano lottare contro una cartografia univoca, astratta, uniformante e imposta a volo d’uccello, a distanza.
Nei suoi lavori i luoghi sono ridisegnati a partire dall’esperienza vissuta, dal ricordo o dopo l’attraversamento e l’immersione. La griglia si sfalda per dare spazio ad una mappa imperscrutabile e illeggibile, che restituisce una atmosfera, forse una magia, che si oppone ad una conoscenza dei luoghi che sia simile allo scrutinio dalla visione zenitale del panottico di Google Maps. Il desiderio si annida tra le maglie della griglia e nelle dinamiche innescate tra disvelamento e resistenza, tra visione ed immaginazione, tra materia e ricordo.
Il paesaggio immortalato nel video in mostra è una macchia, un tempo luogo di incontri fugaci e di battuage, oggi un angolo abbandonato di un parco. Il bosco, nella sua tranquillità, viene riattivato attraverso la luce dei fanali di una macchina che squarcia il buio e l’umidità.
Il canto delle sirene, registrato in un fortuito incontro nel mezzo del mare, viene amplificato dagli impianti della macchina. Il suono si espande e penetra ogni angolo, riverberando sulle superfici e facendole scuotere dal loro torpore. Le energie un tempo presenti nel luogo ora dormiente sono riattivate da un richiamo che sembra chiamare a sé corpi desideranti e ridisegnare uno spazio con le rifrazioni sonore. Nessuna presenza umana disturba questa natura incontaminata e la modulazione di questo canto presemantico che, come la descrivevano Adorno e Horkeimer nella loro “Dialettica dell’Illuminismo”, sembra il richiamo di un godimento represso che chiede di liberarsi per ricongiungersi alla sua origine prerazionale.
Non c’è narrazione, non c’è parola ma l’ostinato silenzio della griglia è rotto per giungere ad una astrazione diversa dalla tabula rasa modernista; lo spazio perde i suoi connotati fisici per diventare immagine potenziale in cui una nuova corporeità possa manifestarsi.
Samuele Piazza è senior curator di OGR Torino dove ha curato o co-curato le mostre personali di diversi artisti: Mike Nelson, Monica Bonvicini, Nina Canell, Maria Hassabi, Ramin e Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian, oltre alla mostra collettiva “Vogliamo Tutto”, ispirata all’omonimo romanzo di Nanni Balestrini e al progetto “Dancing is what we make of falling”.
Prima di OGR ha lavorato a progetti indipendenti tra cui la mostra “On Limits. Estrangement in the everyday” at the Kitchen, NYC. 2015-16 Helena Rubinstein fellow del Whitney Museum ISP, ha conseguito un MA in Aestetics and Art Theory al Center for Research in Modern European Philosophy, Kingston University, Londra e un MA in Arti Visive all’università IUAV di Venezia.